Non Chiamateli Giochi: il Bridge
da AetnaNet del 6 Luglio 2012
da Sotto Le 2 Torri - Il Foglio di Bologna n° 33 - Giugno 2012 - Pagina 17
da Sotto Le 2 Torri - Il Foglio di Bologna n° 33 - Giugno 2012 - Pagina 17
È possibile praticare uno sport, pur rimanendo comodamente seduti? La risposta è sì! Ciò che occorre è un mazzo di carte e imparare a giocare a Bridge. Parlare di un gioco di carte come di uno sport potrebbe di primo acchito sembrare un’esagerazione, ma così non è per il bridge che, insieme ad altre discipline, ha vista riconosciuta da parte del Comitato Olimpico ed altri organi internazionali la definizione di sport ed è stato inserito nei “World Mind Sports Games”, le Olimpiadi degli Sport della Mente.
In Italia, al pari della dama e degli scacchi, il bridge è una disciplina sportiva associata al Coni ed ha da tempo sottoscritto col Ministero della Pubblica Istruzione un protocollo d’intesa che ufficializza la promozione del progetto “Bridge a Scuola”, consentendone l’attività scolastica a partire già dalla scuola primaria, attraverso la pratica del Minibridge.
Gioco di coppia per antonomasia, il bridge non è un semplice gioco di carte (come dire che il calcio, il basket o il tennis sono giochi con la palla) ma è un gioco “con le carte” che sviluppa valori come la socializzazione, l’aggregazione, l’amicizia, la solidarietà, la collaborazione e capacità di analisi e di sintesi, di deduzione logica e razionalità, abilità e competenze indispensabili per migliorare le capacità di pensiero e le life skills.
Il gioco del bridge vanta radici antichissime. Del suo progenitore diretto, il “Whist”, si hanno tracce in Inghilterra sin dal XVI secolo, dov’era praticato tra il popolo. Il gioco cominciò ad appassionare anche l’aristocrazia ed ebbe un costante, progressivo sviluppo, tanto da esser codificato in regole precise nel 1742 da sir Edmond Hoyle, che ebbe il merito d’inquadrare un buon gioco di carte concependolo come veicolo sociale con profondi significati morali, ragione nella quale risiede ancora oggi il principale successo del bridge. Nel 1873 nasce il “Whistbridge”, praticato, come il bridge moderno, da quattro giocatori in due coppie contrapposte. Contemporaneamente si diffonde in Medio Oriente il “Birich”, un analogo gioco di origini russe. Da qui la disputa, ancora oggi irrisolta, sull’esatta etimologia del termine “bridge”: per alcuni deriverebbe dall’instaurarsi di un “ponte” comunicativo tra la coppia di compagni, per altri semplicemente dal termine birich.
Il gioco viene gradualmente modificato negli anni successivi, diffondendosi largamente in Francia e negli Stati Uniti, sino a quando nel 1925, l’americano Harold Stirling Vanderbilt non lo codifica nel moderno “Contract Bridge”, le cui regole sono tuttora in vigore. Di lì a poco verrà fondata nel 1932 a Scheweningen (Olanda) l’International Bridge League, col compito di organizzare il primo Campionato Mondiale a squadre.
Il bridge è anzitutto un gioco di prese che vede contrapposte due coppie, dette “linee”. Si gioca con un mazzo di 52 carte, di tipo francese, esclusi i jolly. Il mazzo è composto da quattro semi (Picche, Cuori, Quadri, Fiori) di 13 carte ciascuno. Il valore è decrescente, dall’Asso al 2. Il mazziere, a rotazione, distribuisce tutte le 52 carte, in senso orario, così che al termine ogni giocatore avrà una “mano” di 13 carte. La presa è costituita dalle quattro carte giocate a turno dai giocatori ed è vinta da chi ha giocato la carta più alta. Ciascun giocatore ha l’obbligo di rispondere nel colore giocato dal primo di mano, se non possiede alcuna carta in quel colore, potrà giocare una carta di un altro colore, effettuando uno “scarto”. Il gioco si articola su due distinte fasi, la “licitazione” (o dichiarazione) e il “gioco della carta”. Scopo del gioco determinare, attraverso la licitazione, il numero di prese (contratto) che si intendono realizzare in seguito ed ogni dichiarazione dovrà superare la precedente o per rango o per numero di prese. Durante la dichiarazione la coppia può scegliere un colore dominante (la briscola o atout), e decidere di giocare un contratto ad atout o a senza atout. Il dialogo avrà termine quando su una licita di un giocatore gli altri tre passeranno, non effettuando alcuna licita ulteriore. La dichiarazione finale costituirà il contratto che dovrà essere mantenuto dalla coppia nella successiva fase di gioco della carta.
È evidente come il gioco del bridge unisca valenze proprie sia dello sport sia dell’attività intellettiva: per apprenderlo non occorre studio, ma comprensione. Il bridge è una disciplina per tutte le età, affascinante, logica e appassionante, adatta sia ai giovani sia a chi è avanti con gli anni. Tutte le componenti del gioco, sia teoriche che pratiche, hanno una naturale matrice logica, matematica e statistica. Ciò obbliga il giocatore alla concentrazione e al ragionamento, impegnandolo ad affrontare situazioni di problem solving pressoché costanti; il bridge è un ottimo strumento per allenare la memoria e l’intelligenza, proponendo nello spazio di una smazzata una serie di condizioni la cui risoluzione necessita dell’utilizzo della memoria a breve e a lungo termine e dell’intelligenza fluida e cristallizzata. L’attenzione e l’interesse sono continuamente stimolati per via della diversa configurazione delle carte, che cambia dopo pochi minuti, modificando così il tipo di impegno richiesto.
In Italia, al pari della dama e degli scacchi, il bridge è una disciplina sportiva associata al Coni ed ha da tempo sottoscritto col Ministero della Pubblica Istruzione un protocollo d’intesa che ufficializza la promozione del progetto “Bridge a Scuola”, consentendone l’attività scolastica a partire già dalla scuola primaria, attraverso la pratica del Minibridge.
Gioco di coppia per antonomasia, il bridge non è un semplice gioco di carte (come dire che il calcio, il basket o il tennis sono giochi con la palla) ma è un gioco “con le carte” che sviluppa valori come la socializzazione, l’aggregazione, l’amicizia, la solidarietà, la collaborazione e capacità di analisi e di sintesi, di deduzione logica e razionalità, abilità e competenze indispensabili per migliorare le capacità di pensiero e le life skills.
Il gioco del bridge vanta radici antichissime. Del suo progenitore diretto, il “Whist”, si hanno tracce in Inghilterra sin dal XVI secolo, dov’era praticato tra il popolo. Il gioco cominciò ad appassionare anche l’aristocrazia ed ebbe un costante, progressivo sviluppo, tanto da esser codificato in regole precise nel 1742 da sir Edmond Hoyle, che ebbe il merito d’inquadrare un buon gioco di carte concependolo come veicolo sociale con profondi significati morali, ragione nella quale risiede ancora oggi il principale successo del bridge. Nel 1873 nasce il “Whistbridge”, praticato, come il bridge moderno, da quattro giocatori in due coppie contrapposte. Contemporaneamente si diffonde in Medio Oriente il “Birich”, un analogo gioco di origini russe. Da qui la disputa, ancora oggi irrisolta, sull’esatta etimologia del termine “bridge”: per alcuni deriverebbe dall’instaurarsi di un “ponte” comunicativo tra la coppia di compagni, per altri semplicemente dal termine birich.
Il gioco viene gradualmente modificato negli anni successivi, diffondendosi largamente in Francia e negli Stati Uniti, sino a quando nel 1925, l’americano Harold Stirling Vanderbilt non lo codifica nel moderno “Contract Bridge”, le cui regole sono tuttora in vigore. Di lì a poco verrà fondata nel 1932 a Scheweningen (Olanda) l’International Bridge League, col compito di organizzare il primo Campionato Mondiale a squadre.
Il bridge è anzitutto un gioco di prese che vede contrapposte due coppie, dette “linee”. Si gioca con un mazzo di 52 carte, di tipo francese, esclusi i jolly. Il mazzo è composto da quattro semi (Picche, Cuori, Quadri, Fiori) di 13 carte ciascuno. Il valore è decrescente, dall’Asso al 2. Il mazziere, a rotazione, distribuisce tutte le 52 carte, in senso orario, così che al termine ogni giocatore avrà una “mano” di 13 carte. La presa è costituita dalle quattro carte giocate a turno dai giocatori ed è vinta da chi ha giocato la carta più alta. Ciascun giocatore ha l’obbligo di rispondere nel colore giocato dal primo di mano, se non possiede alcuna carta in quel colore, potrà giocare una carta di un altro colore, effettuando uno “scarto”. Il gioco si articola su due distinte fasi, la “licitazione” (o dichiarazione) e il “gioco della carta”. Scopo del gioco determinare, attraverso la licitazione, il numero di prese (contratto) che si intendono realizzare in seguito ed ogni dichiarazione dovrà superare la precedente o per rango o per numero di prese. Durante la dichiarazione la coppia può scegliere un colore dominante (la briscola o atout), e decidere di giocare un contratto ad atout o a senza atout. Il dialogo avrà termine quando su una licita di un giocatore gli altri tre passeranno, non effettuando alcuna licita ulteriore. La dichiarazione finale costituirà il contratto che dovrà essere mantenuto dalla coppia nella successiva fase di gioco della carta.
È evidente come il gioco del bridge unisca valenze proprie sia dello sport sia dell’attività intellettiva: per apprenderlo non occorre studio, ma comprensione. Il bridge è una disciplina per tutte le età, affascinante, logica e appassionante, adatta sia ai giovani sia a chi è avanti con gli anni. Tutte le componenti del gioco, sia teoriche che pratiche, hanno una naturale matrice logica, matematica e statistica. Ciò obbliga il giocatore alla concentrazione e al ragionamento, impegnandolo ad affrontare situazioni di problem solving pressoché costanti; il bridge è un ottimo strumento per allenare la memoria e l’intelligenza, proponendo nello spazio di una smazzata una serie di condizioni la cui risoluzione necessita dell’utilizzo della memoria a breve e a lungo termine e dell’intelligenza fluida e cristallizzata. L’attenzione e l’interesse sono continuamente stimolati per via della diversa configurazione delle carte, che cambia dopo pochi minuti, modificando così il tipo di impegno richiesto.
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